giovedì 14 ottobre 2010

Morire per l'italianità


E’ successo ancora. Quattro militari del contingente italiano in Afghanistan sono stati uccisi in un attentato. Le salme sono rientrate in Italia tra il cordoglio delle istituzioni, la rabbia dei parenti e le ipocrisie degli ipocriti.

Ribadisco il mio pensiero che già avevo avuto modo di esprimere in un precedente post: non ci sono militari di leva, sono tutti volontari, adulti e addestrati, consapevoli di andare a fare un lavoro difficile, pericoloso e spesso incompreso. Ciò non toglie il dispiacere per la morte di quattro ragazzi. Credo si debbano accogliere non come eroi, ma come uomini che hanno dato la vita non per l’Italia, non per difendere l’Italia da chissà quale minaccia o pericolo, non per un governo piuttosto che per un altro. Hanno dato la vita per i valori in cui gli italiani, come popolo, hanno sempre creduto. Sono morti per l’italianità, non per l’Italia.

In Italia qualcuno dice che la democrazia sarebbe in pericolo, minacciata da politiche accentratrici, da conflitti di interessi e da leggi che tutelano interessi particolari invece del bene pubblico, che zittiscono il dissenso e limitano la libertà di espressione. Da ciò ne consegue che si vorrebbe libertà e democrazia. E allora perché quando l’esercito presidia i territori dove democrazia e libertà vengono annegate nel sangue ogni santo giorno si accusa quei soldati di essere mercenari, oppressori e conquistatori? Democrazia e libertà non possono avere confini né colori: se sono valori, devono valere in tutti i luoghi, per tutti i popoli.

Quei quattro soldati, come quelli prima di loro e gli altri che ancora rimangono, non sono morti per l’Italia, per Berlusconi, né per La Russa: sono morti per l’italianità, perché pensavano che libertà e democrazia fossero un diritto di cui avevano conosciuto i benefici e che meritavano di essere goduti anche da chi non li aveva mai provati. Diritti per cui valeva la pena di morire.

Nella rabbia e nel dolore ci deve essere posto anche per il rispetto.

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