sabato 19 dicembre 2009
Arbeit macht frei
La scritta Arbeit macht frei che campeggiava sul cancello di entrata del campo di concentramento nazista di Auschwitz è stata rubata. Quella scritta doveva accogliere con macabra ironia quanti avrebbero varcato quel cancello per entrare e per non uscirne mai più, nemmeno da morti. Quella scritta era stata forgiata da uno dei prigionieri e per tutti, dal giorno in cui è stata posta su quel cancello, è diventata il simbolo del male assoluto.
Qualcuno, ogni tanto, cerca di buttarla in politica, di avanzare teorie revisioniste, di negare l'innegabile. E poco importa se non v'è certezza sui numeri, forse che un milione di morti sia meno orribile di due milioni o tre o sei? Precisione cinica e disumana.
Chi ha rubato quella scritta, indipendentemente dal motivo per cui l'ha fatto, ha semplicemente iscritto, nel libro della Storia, il proprio nome accanto a quello dei criminali che quella scritta avevano commissionato.
E' l'ennesimo sfregio che subisce l'umanità intera, ma non sarà certo il furto di quella scritta a impedire che il ricordo di cosa furono i campi di concentramento, nazisti come comunisti, si perpetui nelle generazioni a venire.
Tutti, io penso, portiamo la scritta Arbeit macht frei dentro di noi, impressa come peccato originale da espiare cercando di fare in modo che quel che è stato non accada mai più. Perchè le nostre vite dovrebbero onorare le anime di chi lesse quelle parole, chiuse gli occhi e non li riaprì.
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1 commento:
Studiando queste cose, non posso che appoggiarti.
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