domenica 12 settembre 2010

Giornalismo tra deontologia e buon senso

Cosa distingue un buon giornalista da uno non buono. Si parla di principi, non di fatti o persone: il giornalista bravo è quello che racconta sempre la verità, qualunque essa sia? Chi risponde di sì cita esempi illustri e nobili, Walter Tobagi e Giancarlo Siani su tutti. Sono stati giornalisti che hanno visto una realtà e l'hanno voluta raccontare, non curandosi delle possibili conseguenze. Perchè le conseguenze non devono interessare il buon giornalista, l'importante è che le cose raccontate siano vere, succeda quel che succeda. Mi si dice.
Io invece penso che Tobagi, Siani e molti altri sapessero benissimo cosa avrebbe potuto comportare la precisa e puntuale denuncia sociale lanciata attraverso i propri articoli, ma hanno coraggiosamente accettato il rischio, per amor di verità. Una verità, però, non fine a se stessa. Era una verità a fin di bene, perchè seppur scomoda - forse proprio perchè scomoda - avrebbe potuto rendere migliore la vita delle persone, portando all'arresto di criminali e più giustizia per le vittime.
Questo fa, a mio avviso, la differenza.

La riflessione nasce dalla notizia che ha tenuto banco tutta la scorsa settimana. Un pastore americano aveva annunciato, poi ritrattato, poi ribadito, smentito e ripetuto di voler bruciare un Corano per ricordare - a modo suo - il nono anniversario degli attacchi dell'11 settembre 2001. Immediata la reazione del mondo islamico che ha subito sfogato la propria rabbia riversandosi nelle strade per protestare. Le manifestazioni hanno portato alla morte di una persona. Era una notizia da dare? Il giornalista che ha riportato la presunta intenzione del pastore si è comportato da buon giornalista o da cattivo giornalista? La responsabilità per la morte del manifestante è anche o soprattutto sua o di chi ha dato spazio e attenzione alla notizia? Io faccio fatica a considerarla una notizia, poichè non si riferiva ad un fatto, ma ad una presunta intenzione che poi, guarda caso, non si è tradotta in un'azione. Ma intanto il fuoco sotto la cenere era stato alimentato e un poveretto, dall'altra parte del mondo, ci ha lasciato la pelle.

Ammesso e non concesso che quel che ha riportato il giornalista fosse vero, a chi ha giovato? La comunità ha avuto un beneficio dal sapere che qualcuno avrebbe voluto bruciare un testo sacro per milioni di persone? Non sarebbe stato più opportuno far valere le regole del buon senso ed evitare di gettare benzina sul fuoco della guerra di religione che già da prima dell'11 settembre 2001 oppone medioriente e occidente?
Davvero si vuole accostare il nome di Tobagi e Siani a quello di chi ha riportato questa mezza notizia?
A me pare si voglia, in questo modo, scaricare responsabilità, sollevarsi dal peso morale che una scelta comporta, infine nascondersi dietro il velo della deontologia solo perchè non più capaci di usare quel buon senso che per me ancora distingue chi fa il giornalista da chi è giornalista.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Raccolgo il bel post di Infinito Periodico per dire la mia:
Sergio Lepri parlando del lavoro in agenzia spiega: "Che cosa è notizia?" Il criterio è semplice: un accadimento è un evento degno di essere raccontato se si ritiene che interessi il destinatario; cioè è notizia il fatto che si è convinti possa soddisfare i bisogni informativi del cittadino-lettore (o radioascoltatore o telespettatore) e accrescere il suo patrimonio di conoscenze, dandogli modo di essere più libero nei suoi giudizi, più sicuro nelle sue decisioni, ma anche solo più soddisfatto nelle sue curiosità".
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Ora, in occasione dell'anniversario dell'11 settembre, considerato come il tema della tolleranza e dell'intolleranza sia di estrema attualità, mi sembra che la notizia, anche solo sulle intenzioni del pastore americano di bruciare il Corano, potesse essere giustamente ripresa e utilizzata, senza contare poi la possibilità che essa potesse essere occasione per aprire discussioni e confronti su quali fossero gli atteggiamenti giusti e quelli scorretti.
Mi permetto un altro esempio, se nella concitazione del dibattito politico, per un qualsiasi motivo un esponente del nostro parlamento uscisse con la frase: "Ecco, secondo me la Carta costituzionale è da bruciare, e io la brucerò in pubblico", sarebbe dovere del giornalista riportare la notizia, senza dover egli stesso giudicare se questa esacerbi gli animi, così come poi dovrebbe essere sua cura raccontare anche l'evoluzione del pensiero di quel politico, fino alla sua decisione di non bruciarla.