mercoledì 13 gennaio 2010

Il buon anno di Haiti


Mentre nel mondo dei Paesi ricchi ci si sta ancora augurando buon anno, ad Haiti il 2010 sarà ricordato come l'anno più tragico di sempre. La scossa di terremoto di questa notte ha raggiunto l'apice di magnitudo 7.1 e ha causato oltre 100.000 morti, un terzo della popolazione haitiana ha subito danni fisici o alle abitazioni, e le cifre sono ancora provvisorie. Noi intanto stiamo facendo le file per i saldi, per trovare un maglione scontato, un paio di scarpe che non ci serve, ma che è quello sfizio che ci si vuole togliere ogni tanto. Ad Haiti scarpe e maglioni sono dappertutto, per la strada, nei fiumi, sugli alberi.
E ci sono anche corpi, pezzi di corpi, pezzi di tavoli, pezzi di vetro, pezzi di automobili vecchie e annerite dalle fiamme, pezzi di tutto. Mi tornano alla mente altre tragedie naturali, dalla inondazione in Bangladesh del 2007 allo tsunami in Thailandia del 2004. Decine di migliaia di morti, centinaia di case rase al suolo, strade distrutte, paesi in lacrime e in ginocchio... E ogni volta che capita una cosa del genere, le immagini sono sempre le stesse: gente che piange, gente che prega, gente che muore.

Io di fronte a quelle immagini mi chiedo se esista un motivo per cui queste catastrofi colpiscano sempre Paesi già poveri, già provati da condizioni di vita difficili. Vero è che solo pochi mesi fa proprio in Italia un terremoto ha portato distruzione e morte in Abruzzo e prima di allora altre volte era capitato che la natura facesse valere la sua volontà sull'uomo. E come da noi anche in altri Paesi ricchi: New Orleans, negli Stati Uniti, ancora porta le ferite del passaggio dell'uragano Katrina.

Pur con la morte nel cuore, noi Paesi ricchi abbiamo però le risorse per ricostruire, abbiamo la solidità e la forza per superare queste tragedie, ma gli altri? Il telegiornale sta dicendo che un terzo della popolazione dell'isola di Haiti ha subito danni, la capitale è praticamente distrutta, sono crollati anche il parlamento e diversi palazzi governativi. Come si risolleveranno? Una diversa condizione economica di questi Paesi avrebbe potuto in qualche modo se non evitare, almeno ridurre l'entità dei danni e il numero dei morti?

Scrivo questo post al mio computer, con luce e tv accese, pantofole imbottite ai piedi e la camicia nuova comprata in saldo nell'armadio; intanto guardo il telegiornale e mi chiedo come possa, talvolta, permettermi di non essere felice di quel che ho.

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