venerdì 13 aprile 2012

Suicidarsi in tempo di crisi

Suicidarsi in tempo di crisi non è un dramma, ma una statistica. Le notizie di imprenditori che si tolgono la vita perché sull’orlo del fallimento, perché non riescono a pagare i fornitori o i dipendenti sono quasi all’ordine del giorno. Uno si dà fuoco a Bologna, un altro si impicca a Milano, un altro ancora si spara a Firenze. E così via. Che senso ha continuare a dare queste notizie?

Attenzione, la rilevanza sociale di questi tragici eventi è enorme, meriterebbe la prima pagina di tutti i quotidiani nazionali e locali, sia quelli della borghesia che quelli del popolo, sia quelli dei padroni che quelli degli operai. E invece si citano come notizie di contorno per lasciare posto a cose ben più importanti come la ristrutturazione della casa di Bossi, le vacanze alle Maldive di Lusi o le feste a casa di Berlusconi.

Meglio sarebbe non riportare più di questi suicidi, che io considero morti bianche, morti sul lavoro. Sicuramente meglio non parlarne che sparare enfaticamente “Monti, lei ha questi morti sulla coscienza”, come ha tuonato l’onorevole Antonio Di Pietro, che a mio modo di vedere ha quantomeno le stesse responsabilità, come tutta la politica in generale.

Sarebbe meglio non parlarne per rispetto dei morti, che si tolgono la vita per la vergogna di non poter far fronte agli impegni e alle difficoltà e l’ultima cosa che vorrebbero è di finire in prima pagina: non è vero che lo fanno per dare risalto a una situazione ormai insostenibile. Si fanno dimostrazioni, cortei, manifestazioni di piazza per attirare attenzione. Non ci si uccide, lasciando mogli, figli, genitori e amici.

L’imprenditore – il piccolo imprenditore - per sua natura è uno che rischia, che ama correre sul filo, è abituato a superare difficoltà e incertezze, a stringere i denti e tirare la cinghia, a districarsi tra la burocrazia e la pachidermica macchina del Fisco. Lo animano ambizione, libertà e fiducia. Ci si uccide quando mancano queste tre cose: artigiani e piccoli imprenditori si uccidono perché questa crisi ha fatto emergere ancora più chiaramente che chi dovrebbe tutelarli, non lo vuole fare.

Nel momento del bisogno le banche hanno chiuso i rubinetti, la politica si è arroccata sulla torre d’avorio e dall’alto ha fatto cadere una pioggia di tasse che in alcun modo possono aiutare la crescita del Paese. Banche e Stato li hanno lasciati soli.

Sono migliaia, in Italia, i piccoli imprenditori e gli artigiani che sono ancora stretti nella morsa di banche e fisco, cercano di non farsi sommergere dalla melma, che sale e sale sempre di più, cambia nome, colore e provenienza, ma l’odore è sempre lo stesso. Ed è, in alcuni casi, odore di morte.

E i giornali che aggiornano le statistiche non hanno una sola parola di conforto, vero e non ipocrita, per le famiglie di questi piccoli eroi che nemmeno la morte, nemmeno il lutto, nemmeno il dolore infinito potrà liberare da creditori, fisco e tasse.

Suicidarsi in tempo di crisi è l’ultimo gradino prima del baratro.

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